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Il casatiello

Fetta di casatiello

Fetta di casatiello rustico

Uno dei simboli della cucina di Pasqua in Campania è senza dubbio il casatiello.

Esso ha la forma di una ciambella, può essere dolce o salato (rustico), ed è caratterizzato esteticamente da uova crude con il loro guscio che si mettono a mò di decorazione sopra l’impasto prima di essere infornato. Le uova vengono fissate alla ciambella da due striscioline di pasta incrociate.

Il casatiello rustico altro non è che il tortano napoletano imbottito decorato con le uova crude così come spiegato sopra.
Spesso invece di fare un tortano imbottito, si può preparare un tortano semplice con sugna, parmigiano e romano e decorarlo sempre con le uova.

Per il casatiello dolce, invece, si fa un impasto simile a quello delle brioche (uova, farina, latte, burro o strutto, zucchero),  impiegando gli ingrediendi in fasi diverse, in quanto la lievitazione dura molte ore.

Per approfondire:

La meteorologia napoletana

Ultimo giorno di questo pazzo marzo. Le prime rondini annunciano una Primavera che quest’anno tarda a venire anche nella città del sole. Sembra che la pioggia ormai sia più consueta del cielo azzurro che da sempre fa da sfondo a Partenope. La meteoropatia è una componente dell’anima di molti napoletani, forse perché le belle giornate sono sempre state la scenografia più frequente a Napoli, tanto che perfino in poesia e nell’antica saggezza popolare giorni piovosi e bizzarri lasciano il segno.

Come in questo proverbio: ‘o friddo nasce, pasce e more.
A Napoli in genere il freddo intenso dura poco, per cui è come se in soli tre giorni nascesse, crescesse e morisse.

O anche nel più caretteristico: quanno ‘o Vesuvio tene ‘cappa, si nun chiove ogge, dimane nun scappa.
Vale a dire quando le nuvole si addensano intorno alla cima del Vesuvio è quasi sicuro che se non in serata, l’indomani piova.

E ancora: si marzo ‘ngrogna, te fa zumpà’ l’ogne.
Cioè se a marzo fa freddo ti fa perfino saltare le unghie.

E per sorridere:
L’acqua sta ‘nterra
per indicare che la pioggia è in arrivo.

La lista sarebbe lunga ad indicare quanto l’attenzione meteorologica sia un fatto serio per l’antico popolo napoletano, spesso impegnato nella cura dei frutti della terra.
Concludo riportando i versi celebri del più meteoropatico dei poeti napoletani: Salvatore di Giacomo, con la sua

Marzo

Marzo: nu poco chiove
e n’ato ppoco stracqua
torna a chiovere, schiove,
ride ‘o sole cu ll’acqua.

Mo nu cielo celeste,
mo n’aria cupa e nera,
mo d’’o vierno ‘e tempesta,
mo n’aria ‘e Primmavera.

N’ auciello freddigliuso
aspetta ch’esce ‘o sole,
ncopp’’o tturreno nfuso
suspireno ‘e vviole.

Catarì!…Che buo’ cchiù?
Ntiénneme, core mio!
Marzo, tu ‘o ssaie, si’ tu,
e st’ auciello songo io.

Per approfondire:

Cerasa

Cerasa (s.f.) = Ciliegia

Il termine si riscontra in molti dialetti del centrosud e deriva dal greco antico κέρασος = ciliegia, pronunciato “cherasoi”, da cui deriva anche il termine latino cerasum.

E’ una parola che incontriamo spesso nella poesia napoletana e nella canzone napoletana.

Ad esempio nel famoso testo de ‘E spingule francese di Di Giacomo – De Leva:

[…]
E tene ‘a faccia
comme ffronne ‘e rosa
e tene ‘a vocca
comm’a na cerasa
[…]

Oppure in ‘A pizza resa celebre da Aurelio Fierro:

Io te ‘ncuntraje:
na vocca rossa comm’a na cerasa,
na pelle prufumata ‘e fronne ‘e rose….
io te ‘ncuntraje…
[…]

La cucina e le ricette di pasqua

La Settimana Santa napoletana è scandita da una serie di eventi religiosi legati ai riti ed alla liturgia della Pasqua, pressappoco come in tutta Italia: si parte dai rametti d’ulivo della Domenica delle Palme, seguono poi lo struscio ed i sepolcri al giovedì, le processioni del venerdì, fino allo sciogliersi della Gloria (il suono di campane che annuncia la Resurrezione) alla Domenica di Pasqua.

Nel Golfo di Napoli inoltre, chi è ancora legato alla tradizione, accompagna la settimana santa anche con una serie di riti gastronomici che scandiscono il ritmo delle giornate, fino alla preparazione del menù pasquale ed alla gita della pasquetta.

Riporto di qui di seguito la tradizione nella mia famiglia.

  • Mercoledì: preparazione dei taralli di Pasqua (ciambelle dolci fatte con uova, zucchero, farina e scorza di limone)
  • Giovedì: preparazione della pastiera.
    Il menù della cena prevede spaghetti con le vongole o frutti di mare (o zuppa con i frutti di mare) e per secondo  ricotta salata, uova sode, carciofi bolliti intinti nell’olio.
  • Venerdì: rigorosamente bisognerebbe digiunare, ma noi abbiamo sempre mangiato leggero, tipo verdure, un pò di pasta o un pò di pesce in bianco.
  • Sabato: è il giorno della preparazione del Casatiello, la celebre torta salata ripiena di uova, formaggio e salumi (per me è il punto più alto della gastronomia pasquale 🙂 ). Il casatiello lo mangiamo poi in serata con carne alla pizzaiola o frattaglie in umido. In genere se ne fanno due, il secondo si mangia il lunedì.
  • Domenica: il menù pasquale prevede minestra con brodo di gallina, agnello stufato con uova e piselli, carciofi bolliti, fritto misto (ricotta fritta, carciofi fritti) e la famosa fellata (affettato misto di salami, dove non deve mancare la soppressata ed il capocollo)
  • Lunedì: giorno dedicato alla gita fuori casa dove si mangia il casatiello (ancora più buono dopo un paio di giorni) oppure se si resta casa si fa un menu simile a quello della domenica con le rimanenze del giorno prima, variando il primo piatto.

Sarebbe bello conoscere anche la “tradizione gastronomica pasquale” di chi legge, non solo in Campania, ma anche nella altre regioni d’Italia; vi invito a scriverle qui sotto nei commenti.

Un proverbio per le donne

Non ci avevo mai fatto caso. Stavo cercando nel mio libro dei proverbi napoletani un detto da proporvi per celebrare la festa della donna. In effetti ne ho trovati tanti, ma tra essi nessuno delineava la figura della donna in positivo. Allora mi sono chiesta come mai la tradizione popolare napoletana avesse un simile atteggiamento misogino. Riflettendo poi ho notato che quasi tutti i proverbi sottolineavano l’aspetto di pericolosità della figura femminile, la cui bellezza e astuzia può rovinare un uomo più dell’effetto del passaggio di un battaglione di soldati (tira chiù ‘nu pilo e femmena ca mille bastemiénte). Allora mettendo da parte la scontata interpretazione di maschilismo meridionale, ho letto in positivo la maggior parte di questi detti, riconoscendo piuttosto nel maschio napoletano una sorta di soggezione e di temuta dipendenza nei confronti delle donne, spesso espressa con locuzioni emblematiche:

‘E femmene ne sanno una chiù d”ò diàvulo”

(le donne ne sanno una più del diavolo)

Via Toledo

Via Toledo è una delle strade più famose di Napoli, eppure il suo nome ha conosciuto una storia travagliata negli ultimi 150 anni.

Nata nel 1536 per volere del vicerè Pedro Toledo, ne conservò il nome fino al 1870 quando poi si decise di rinominarla in “Via Roma, già Toledo” per festeggiare la presa di Roma, futura capitale del Regno d’Italia.
I Napoletani, già diffidenti verso la nuova casata regnante non accolsero al meglio il cambio di nome e per tale motivo le nuove targhe furono vegliate a lungo dalle Guardie Municipali, in previsione di passionali attacchi a base di scalpello e martello.

Ma si possono cambiare la targhe, non le abitudini: negli anni Settanta del secolo scorso ricordo ancora che in molti per indicare questa strada dicevano “ngoppa a Tuledo” (sulla via Toledo), benchè fosse passato un secolo dal cambio di nome.

Finalmente negli anni Novanta l’arteria ha riacquistato il suo vecchio nome, con buona pace dei tanti Napoletani che avevano cominciato a chiamarla via Roma: oggi, girando per Napoli, potete chiamarla col nome ufficiale di Via Toledo o quello conservato temporaneamente per un secolo e mezzo di Via Roma, le attuali generazioni vi capiranno in entrambi i casi. In futuro, chi sa…?

Per approfondire:

I sepolcri e lo struscio

Come è noto al Giovedì Santo la tradizione pasquale e la liturgia della Settimana Santa prevede che i fedeli vadano a visitare i sepolcri nelle chiese, che, secondo un’antica tradizione, devono essere almeno tre e sempre in numero dispari.

Questo rito viene comunemente indicato come il “giro dei sepolcri”, ma a Napoli (e a quanto pare in buona parte del Campania) si usa anche il termine struscio.

Una delle spiegazioni più plausibili che ho trovato circa l’origine del termine risale addirittura ad un bando del Settecento, quando a Napoli durante la settimana santa fu imposto (così come era già tradizione in Spagna) il divieto di circolare con cavalli e carri, divieto confinato successivamente poi alla sola via Toledo. I fedeli, che in gran numero osservavano il rito dei sepolcri, erano quindi costretti a circolare a piedi lungo la principale arteria cittadina. Visto il gran numero di persone, il passeggio era lento e si procedeva quindi strusciando (strisciando) i piedi lentamente sul selciato ed anche le stoffe ancora rigide dei vestiti nuovi indossati per l’occasione, strusciavano tra di loro producendo un suono sommesso.

Pasqua a Procida

Tracorrere la Pasqua a Procida è sicuramente un’esperienza affascinante e coinvolgente, soprattutto per l’intenso misticismo della Settimana Santa di Procida.
Le processioni del Giovedì e del Venerdì Santo sono antichissime e molto sentite dalla popolazione, che vi partecipa in massa.
Non solo la tradizione, ma anche la natura è un’attrazione: il tepore primaverile permette di prendere la prima tintarella sulle belle spiagge vulcaniche dell’isola e magari osare anche qualche nuotata in mare. Inoltre si possono provare le specialità di mare del Golfo di Napoli, ad esempio sedendo fra le barche di pescatori giù alla Marina di Corricella.

Per approfondire:

Informazioni turistiche:

Un augurio speciale

Oggi è il compleanno dell’autore di Portanapoli. Con l’occasione ho pensato di fargli degli auguri speciali, attingendo alla ricca saggezza dei proverbi napoletani:

Puozze aunnà’ comm’aonna ‘o mare!

Vale a dire che tu possa avere tutto a tuo favore (che tu possa ingrandirti), che ti venga tutto in favore (proprio come si ingrandisce il mare).

La fortuna bizzarra

È una domanda che spesso mi sono posta: come mai ci sono persone che pur impegnandosi poco nella vita, riescono meglio di chi ci mette tanta passione e fatica in quel che fa?

Deve essere un’antica domanda, forse senza risposta, se anche la saggezza popolare napoletana tramanda in merito un proverbio:

A barca storta lo puorto deritto.

Vale a dire che anche se la barca è storta (si fa riferimento a chi è disordinato), arriva comunque diritto in porto (la fortuna li arride comunque).

Le chiacchiere

Finalmente ho avuto il tempo di farle:

Le chiacchiere

Le chiacchiere

Le chiacchiere sono un tipico dolce carnevalizio, praticamente conosciuto in tutta la penisola con nomi diversi. In Campania noi le chiamiamo chiacchiere, sono semplici da fare ed hanno anche un bell’aspetto.
Tradizionalmente si preparano il giovedì, anche se a  me prima di oggi non è stato possibile farle!

Naturalmente ho preparato anche il sanguinaccio (però quello fatto solo col cioccolato).

Per approfondimenti:

La battaglia tra il Carnevale e la Quaresima

La parola carnevale, come tutti sanno, viene dal latino carnem levare (togliere la carne) perchè proprio il martedì, detto “grasso”, è l’ultimo giorno in cui è possibile mangiare carne prima che inizi il lungo periodo “di magro” della Quaresima (i quaranta giorni che precedono la santa Pasqua).

Nel passato la quaresima portò ad elaborare una cucina di magro particolarmente fantasiosa e saporita, perchè essendo proibite le carni e tutti i condimenti derivati dai grassi animali, bisognava pur ingegnarsi in qualche modo per dare sapore ai cibi. Nacquero in questo modo tanti piatti della nostra cucina tradizionale che sono oggi i pilastri della dieta mediterranea.

Per rendere più efficace il messaggio e l’obbligo della quaresima, nel medioevo si era soliti rappresentare allegoricamente  la battaglia tra il Carnevale e la Quaresima, dove il Carnevale era rappresentato da una persona paffuta, gioiosa seguita da una schiera di prosciutti, lardi, salami, mentre la Quaresima da un personaggio smunto, magro, pallido, seguito da sardine, pesci e baccalà. I due combattevano strenuamente, anche se alla fine vinceva sempre la quaresima imponendo per quaranta giorni le sue proibizioni.

Famoso è il  quadro del pittore fiammingo Pieter Bruegel, “La battaglia tra il Carnevale e la Quaresima”, che rappresenta la citata allegoria e che può essere ammirato su questa pagina:
http://en.wikipedia.org/wiki/The_Fight_Between_Carnival_and_Lent


Per approfondimenti:

Carnevale nei proverbi

Carnevale addò te truove,  Natale e Pasca a’ casa toia.

(Carnevale dove ti trovi, Natale e Pasqua a casa tua)

Chi di noi non si è trovato in prossimita delle feste a dover decidere dove e come trascorrerle? Ebbene, l’antica saggezza popolare napoletana suggerisce che Carnevale si possa trascorrere dove si vuole, magari in compagnia di amici, mentre Natale e Pasqua sono preferibilmente feste da vivere in famiglia.

Il Carnevale a Napoli

Tradizionalmente il carnevale napoletano inizia il17 gennaio, nel giorno di Sant’Antonio Abate.

Anche se la festa napoletana, come tutte le celebrazioni carnevalesche, ha origini antichissime, le prime notizie documentate risalgono al secolo XVI, dove però la festa del travestimento e delle maschere era riservata solamente ai nobili. Ben presto però il popolo scoprì il fascino ed il potere delle maschere, creando e raffinando figure che già appartenevano alla cultura popolare. La maschera di Pulcinella e le mezze maschere come la “Vecchia ‘o Carnevale“, la Zeza, Don Nicola sono il risultato di questo processo.

Oggi a Napoli non ci sono sfilate di carri allegorici o altre manifestazioni pubbliche, che invece troviamo in altre località campane.  Tra i giovani c’è invece l’usanza di trascorrere il veglione di carnevale tra amici oppure in locali, dove si organizzano feste in maschera.

Ma forse è la cucina la vera protagonista del carnevale napoletano, con piatti ricchi come la lasagna e dolci di antica tradizione come il migliaccio, il sanguinaccio e le chiacchiere.

Per approfondimenti: