Uno dei miti più belli del mondo classico è quello di Orfeo ed Euridice. Di Orfeo si narra che fosse figlio della musa Calliope, e quindi poeta a sua volta di tale bravura da riuscire col canto a muovere le pietre e ad ammansire gli animali feroci. La sua esistenza fu tuttavia funestata dalla morte disgraziata della sua amata Euridice, morsa da un serpente mentre fuggiva dalle insidie di Aristeo. Ma come in una vera fiaba in cui il vero amore non teme nulla, così Orfeo scese nell’Ade per riprendersi la sua donna e forte del proprio canto mosse a pietà gli dei inferi che vennero meno ad una legge implacabile, concedendo al poeta di riportarsi la sua Euridice. Ma c’è tuttavia un patto fatale che fu imposto ad Orfeo di rispettare: nel lungo viaggio dal buio alla luce, egli non avrebbe mai dovuto voltarsi indietro a guardare in volto la sua donna. Così Poliziano, nella sua Fabula di Orfeo, scriveva: “Io te la rendo, ma con queste leggi: che lei ti segua per la ceca via ma che tu mai la sua faccia non veggi, finché tra i vivi pervenuta sia!”. Tuttavia l’amore è coraggioso, quanto impaziente e precipitoso, per cui Orfeo, sopraggiunto alle soglie dell’aldilà, varcata la porta che divide il mondo dei morti da quello dei vivi, avvolto dalla luce, si girò in cerca della sua donna, ma Euridice, forse rallentata dalla ferita provocata dal serpente, non aveva fatto in tempo a superare quel confine e scomparve nel buio di nuovo e Orfeo riperse la sua donna, questa volta per sempre.
Quando ascoltai per la prima volta questo mito ne fui colpita e commossa. Cercando notizie, scoprii che molti artisti avevano subito il fascino di questa storia e ne avevano tratto ispirazione per nuove creazioni, nella poesia, nell’arte, perfino nella musica, come testimonia il dolcissimo e indimenticabile Orfeo ed Euridice di Gluck. Tuttavia l’interpretazione per me più intensa e suggestiva del profondo dolore e sconforto per la separazione fra i due amanti è suggellata nello stupendo rilievo in marmo visibile al Museo archeologico di Napoli, dove perfino il volto di Ermes che deve scortare Euridice sembra velato dalla tristezza e dalla pietà. Perché l’amore, per uomini e dei, è la più grande e rispettabile delle passioni.